Ne è passata di acqua sotto i ponti dal 1982: il famoso DJ Linus ricorda ancora che andò di corsa a Monaco di Baviera a vedere "l'ultimo concerto dei Rolling Stones", noi eravamo campioni del
mondo, in TV c'era "La Piovra", Pippo Baudo aveva già il trapianto, e alla radio iniziavano a fare solo robaccia.
Robaccia tranne poche cose, e una delle poche cose è questo raffinatissimo album di Bryan Ferry e compagnia, il loro vertice pop, quanto di più lontano dalle astrusità avant-garde per cui erano
ricordati fino alla decisa transizione di "Flesh and Blood".
Avvicinandosi ai quaranta, Ferry e Manzanera, con l'ottimo Alan Spenner al basso e numerosi turnisti di classe, scelgono la strada della semplicità, del perfetto equilibrio tra pieni e vuoti,
rendendo "Avalon" un diamante accuratamente levigato; Ferry è un crooner malinconico ed elegante, oltre che un tastierista e arrangiatore di indubbio gusto, e "More than this", il singolo di
maggiore successo, è senza dubbio il suo capolavoro in questo senso; ma l'intero disco, col suo mood autunnale, soffuso e atmosferico, sembra un unico brano di 37 minuti, composto di
vari movimenti.
Il tormento amoroso di "The space between" apre la strada ai fumi sinuosi di "Avalon", ai suoi cori delicati; "India" è un intermezzo orientaleggiante, prima di "While my heart is still beating",
altro seducente lento arricchito da un interessante arrangiamento della sezione ritmica; poi, ottime "The main thing", classico pezzo da ballare, con un magistrale giro di basso e sintetizzatore
incrociati, e dopo un breve intermezzo, anche "Take a chance with me", che viaggia sullo stesso tempo, con un grande accompagnamento di Phil Manzanera alla chitarra che struttura l'intero
brano.
Colpisce il bersaglio anche "To turn you on", versi romanticissimi e prezioso intermezzo di chitarra, ma è "True to life" a superare ogni aspettativa in quanto ad atmosfera e potenza evocativa:
Ferry non smette mai i panni del seduttore, ma siano benedetti i sintetizzatori se qualcuno li sa usare con questa maestria, evocando magnificamente una dancing city dalle mille luci
eppure in fondo desolata, un sapore agrodolce di vuoto interiore, di troppi cocktail bevuti, fino a che il sax leggero di "Tara" chiude la festa, ma fa desiderare qualche minuto in più, ancora
qualche attimo di questa bellezza.
Lo maneggio da una decina d'anni, ma questo disco è ancora moderno, avvolgente, pensieroso come non mai; è un disco per innamorati e innamorabili, di grande raffinatezza tecnica, e soprattutto è
con ogni probabiità il miglior album pop degli anni '80.
per l'edizione va bene una qualsiasi: io ho un ottimo target West Germany, che mai mi sognerei di sostituire, perchè non so trovargli un difetto, ma mi dicono che le recenti ristampe EG
sono state curate adeguatamente