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13 febbraio 2013 3 13 /02 /febbraio /2013 16:12

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L'unico per cui mi dispiace è Rod Stewart, che ci sarà rimasto proprio male a vedere i suoi generosi e ingenui Hoops soccombere davanti a una squadra italiana tosta e determinata.

Il Celtic ha uno stadio fantastico e un agonismo fuori dal comune, quindi, soprattutto in casa, non è squadra da sottovalutare. Ci vogliono calma e sangue freddo, come diceva una canzonetta qualche estate fa, perchè poi sotto sotto il football che praticano questi scozzesi è proprio quello maggiormente congeniale al gioco di rimessa all'italiana; tutti all'attacco a spron battuto, e un paio di marcantoni dietro a fare la guardia, cosicchè, per la prima volta in un anno e mezzo di gestione Conte, la Juventus deve chiudersi e fare bunker, aspettando l'occasione giusta, come ai tempi di Trapattoni e Furino, quando però, ahinoi, le buscavamo ad ogni trasferta, finchè non arrivò Platini.

L'occasione arriva subito, grazie alla goffaggine dello stopper nigeriano Ambrose, che in pieno jet-lag da Coppa d'Africa si perde Matri al limite dell'area e Alessandro infila in rete nonostante la scivolata della disperazione di un altro difensore. E questo gol non cambia per niente l'inerzia della partita; anzi, restiamo ancora più rintanati in area, un atteggiamento pericoloso che fa imbufalire Conte e non causa conseguenze grazie a un Caceres versione muro e, obiettivamente, anche alla mancanza di creatività (e di qualità) degli avanti scozzesi. Ci manca poi un catalizzatore in avanti e in tutto il primo tempo non riusciamo quasi mai a mettere a terra una palla e gestirla come sappiamo, anche solo per alleggerire la pressione. I tiri verso Buffon sono però fiacchi e spesso forzati, mentre noi diamo sempre l'impressione di poter combinare qualcosa di pericoloso da un momento all'altro.

Loro corrono come dannati, ma anche noi. Corrono, entrano duro, e cercano il diverbio e lo scontro ad ogni contrasto. Incredibile a dirsi, sono più provocatori che picchiatori. Se il boato di Parkhead è una leggenda vera e propria, sfatiamo subito invece il mito di un calcio scozzese all'insegna della sportività. Questi ragazzoni rubati al rugby hanno vinto 43 scudetti, e in casa devono essere abituati a un trattamento di lusso se si tuffano in modo così plateale in cerca di un calcio di rigore; per fortuna l'arbitro Mallenco non si beve le sceneggiate, e il primo tempo finisce col Celtic spompato, demoralizzato e sotto di un gol.

Così nella ripresa la musica cambia; Conte sposta il Vallo di Adriano venti metri più avanti, i Caledoni hanno finito la birra e l'assedio perde vigore; d'altronde, sarebbe stato impossibile attaccare e pressare furiosamente in otto o nove uomini per tutta la partita, e lasciar soli dietro dei difensori così scarsi. Difatti, Marchisio Matri e Vucinic li fanno a fette e finisce 3-0, un punteggio pesante che non riflette certo la quantità di energie spese in campo dalle rispettive squadre ma piuttosto una netta differenza tecnica, tattica e qualitativa. Altrimenti il calcio sarebbe come il tiro alla fune, o il braccio di ferro. Non è così, ed è per questo che ai quarti ci andiamo noi.

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