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29 marzo 2012 4 29 /03 /marzo /2012 00:30

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Al fischio finale di Milan-Barcellona le sensazioni sono diverse. La prima è quella di scampato pericolo, per un Diavolo pieno di acciacchi che rischiava grosso contro il flipper di Guardiola, e che invece se l'è sfangata senza eccessivi imbarazzi, lasciando il discorso qualificazione assolutamente in bilico. La seconda sensazione è che di sicuro il Barça teme le italiane, soprattutto nel knock-out stage, quando uno stinco, un rimpallo, una giornata storta dell'arbitro, possono rovinare tutto, e non c'è tique-toque che tenga. Terza cosa, il Barça non deve amare nella fattispecie San Siro, sia per il frastuono dei tifosi che per l'orrido terreno di gioco, un problema che le società milanesi non hanno mai saputo risolvere in maniera radicale. Quarto fatto: il calcio non è aritmetica, e nemmeno ragioneria, anzi, tutti hanno un'opinione più o meno valida, e una diversa angolazione per osservare le cose; la squadra di Guardiola sta vincendo spesso, e meritatamente, ha un tasso tecnico elevato e capacità di palleggio degne del Brasile vecchia scuola, con in più un ordine tattico che a Rio nemmeno si sognavano, e un difetto in comune, quella difesa un po' così, votata all'attacco e alla gestione del possesso palla, più che a mordere le caviglie degli attaccanti avversari.

Ed è così che il Milan, malamente spacciato come squadra "brasiliana" dai giornali nostrani, a centrocampo la butta sul fisico, con Ambrosini, Nocerino e  Boateng, e neanche fosse un Rosenborg qualsiasi, con qualche pallaccia lunga per l'armadio svedese riesce a far scaldare i tifosi, tutti con le chiappe strette ogni volta che Messi si avvicinava all'area e provava un dai e vai. Non ci vuole il generale Von Clausewitz per puntare sul lancio lungo a Ibra, ma funziona: l'Inter ci ha vinto tre scudetti, e se il Barça ha un punto debole, è proprio la scarsa fisicità della difesa; non per niente, Peppe Guardiola vorrebbe arraffare Thiago Silva, grande assente oggi. Un altro sistema per battere il tique-toque sarebbe verticalizzare rapidamente, ma per quello serve gente che lancia, e gente che va, soprattutto all'ala, e il diavolo è poco diabolico in questo senso; Seedorf gioca da fermo, Ambro è uno stopper, Nocerino deve marcarne tre, Robinho non è un fulmine e Ibra si sfibra a furia di sportellate. Eppure Maicon due anni fa li tagliò a fette, i blaugrana, e sarei curioso di vedere cosa farebbero Robben e Ribery, se in mezzo al campo avessero anche uno solo dei registi di casa al Camp Nou. Ma i registi lavorano tutti per Peppe il filosofo, tanto che ne tiene anche uno in panca, Fabregas, che giocherebbe titolare in qualsiasi altra squadra; sono cloni di lui stesso, come, nel suo piccolo, Vidal è un clone di Conte, e Conte ne vorrebbe altri cinque o sei così.

Dunque, non era imbattibile il Milan di Sacchi e di Capello, non lo era l'Ajax di Van Gaal e del giovane Seedorf, nè la Juventus di Lippi che quell'Ajax ricacciò indietro, e non è imbattibile nemmeno il Barcellona, che pure sta facendo miracoli; proprio Seedorf, uno che di cicli vincenti se ne intende, a fine gara spiegava che tutte le grandi squadre prima o poi cedono. E può darsi anche che sia il vituperato gioco all'italiana la contraddizione che mette in crisi il filosofo.

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